Rigidita’ di gomito
Per rigidità si intende la riduzione dell’arco di movimento di una articolazione. Questa può essere parziale, di lieve entità, o totale, configurandosi nel quadro dell’ “anchilosi”, ossia l’abolizione totale del movimento. La rigidità può interessare uno o più dei movimenti di una articolazione nei vari piani dello spazio. Per quanto riguarda il gomito, questa può coinvolgere la flesso-estensione e lasciare libera la prono supinazione, o viceversa. In alcuni casi entrambi i movimenti possono essere ridotti o aboliti.
Il gomito è l’articolazione che più frequentemente va incontro a riduzione dell’arco di movimento, in particolare dopo un trauma. Ciò a causa della sua complessa anatomia e della spiccata tendenza dei tessuti molli intorno all’articolazione (capsula, legamenti e muscoli) a sviluppare abbondante tessuto cicatriziale ed ossificazioni eterotopiche (Fig. 1). Per ossificazioni eterotopiche si intende la formazione di osso nel contesto dei tessuti molli.
La rigidità può derivare da malformazioni congenite, cioè presenti alla nascita (Fig.2), o essere acquisita, ossia insorta successivamente.
Questa può essere causata da patologie infiammatorie, come le artriti infettive (Fig. 3) ed autoimmunitarie (come l’artrite reumatoide), o da patologie non infiammatorie, tra cui i traumi e l’artrosi degenerativa (Fig. 4).La causa di gran lunga più comune è quella traumatica. Infatti dopo una lussazione o una frattura-lussazione di gomito, si rileva una prevalenza di rigidità tra il 20% ed il 40% dei casi, rispettivamente.
In base alle strutture coinvolte la rigidità viene classificata in:
1.Estrinseca, ossia quando la causa non ha coinvolto le superfici articolari (“estrinseca rispetto alle superfici articolari”). In questi casi, alla base della rigidità vi sono delle alterazioni cicatriziali dei tessuti molli periarticolari (capsula, legamenti e muscoli). Inoltre possono essere o meno presenti le ossificazioni eterotopiche.
Tra le cause meno comuni di rigidità estrinseca vi sono anche le ustioni estese e le ferite quando comportano lo sviluppo di cicatrici retraenti della cute, cause neurologiche come la flessione spastica e le ossificazioni eterotopiche da patologie cerebrovascolari (traumi cranici, coma, ictus), la poliomielite, e le paralisi o lesioni muscolari.
2.Intrinseca, ossia quando sono alterati i capi articolari (le superfici cartilaginee e l’osso sottostante). Questo tipo di rigidità può essere secondaria a patologie infettive infiammatorie, a patologie autoimmunitarie, all’artrosi primitiva o postraumatica (Fig. 5). Come già detto, quest’ultima rappresenta la causa più frequente (esiti di fratture articolari della paletta omerale, dell’olecrano, della coronoide, del capitello radiale).
3. Mista, ossia quando vi è una associazione delle precedenti. Questo tipo di rigidità è la più frequente.
La rigidità di gomito post-traumatica dipende da svariati fattori quali, l’entità del trauma iniziale che può comportare un danno più o meno esteso delle strutture articolari ed extra articolari, il tipo di approccio terapeutico, che può essere conservativo o chirurgico, il protocollo riabilitativo più o meno aggressivo ed il grado di collaborazione del paziente. Infine è da ricordare che è stata evidenziata anche una certa predisposizione costituzionale individuale allo sviluppo della rigidità.
La rigidità può essere classificata anche in base all’arco di movimento residuo del gomito:
minima, ossia quando questo è maggiore di 90° (Fig. 6)
moderata, quando l’arco di movimento residuo è tra 60° e 90° (Fig. 7)
grave, tra 30° e 60° (Fig. 8)
molto grave, quando l’arco è inferiore a 30° (Fig. 9)
Oltre al grado di riduzione dell’escursione articolare descritto in questa classificazione, è importante considerare anche quale arco di movimento è stato perso. Infatti per svolgere adeguatamente le attività della vita quotidiana, i gradi estremi di flessione ed estensione non sono necessari, mentre è importante che il gomito conservi la flesso-estensione tra i 30° ed i 130°. Nel movimento di prono supinazione è importante che sia conservata l’articolarità tra 50° di supinazione e 50° di pronazione (Fig. 10). Quando l’arco funzionale di movimento è perso, il paziente assiste ad una invalidante riduzione della propria autonomia nei gesti quotidiani quali, abbottonarsi la camicia, aprire le porte, vestirsi, lavarsi, pettinarsi, mangiare, ecc. E’ in questi casi che il paziente si rivolge al medico per risolvere la sua inabilità. Obbiettivo del trattamento è, quindi, quello di ripristinare l’arco funzionale di movimento in assenza di dolore. Non sempre è possibile ed opportuno ottenere l’intero movimento del gomito.
Per un corretto trattamento della rigidità occorre in primo luogo individuarne tutte le cause attraverso un accurato studio della storia clinica e della documentazione radiologica del paziente. In particolare è necessario ottenere delle radiografie in due proiezioni di buona qualità ed un accurato studio TAC con ricostruzioni bi e tridimensionali (Fig. 11). Questo consente di valutare con esattezza lo stato dei capi articolari e rilevarne eventuali alterazioni sia della superficie che dell’orientamento. Inoltre la TAC è di estrema utilità per valutare la presenza e l’estensione delle ossificazioni eterotopiche. In alcuni casi può essere di aiuto l’esecuzione di una RMN (risonanza magnetica nucleare) come ad esempio per valutare la vascolarizzazione dei capi articolari.
Nei casi in cui l’anatomia articolare risulti conservata (rigidità estrinseca) e la rigidità è moderata e perdura da meno di quattro-sei mesi, è indicato un trattamento non chirurgico attraverso un adeguato programma riabilitativo e l’utilizzo di tutori statici o dinamici (Fig. 12)
Nei casi in cui la rigidità estrinseca perduri da più di sei mesi ed appare ormai stabilizzata è indicato un intervento chirurgico mirato a rimuovere le cause del blocco del movimento (retrazione capsulo legamentosa e le ossificazioni eterotopiche). L’intervento può essere eseguito per via artroscopia od a cielo aperto (attraverso incisione cutanea estesa) a seconda delle necessità del singolo caso e delle preferenze del chirurgo.
Nei casi di rigidità intrinseca, il trattamento conservativo generalmente non è indicato in quanto vi è una distorsione delle superfici articolari che blocca in modo irreversibile il movimento. In questi casi è indicato un intervento a cielo aperto e questo può variare a seconda dei casi. Ad esempio può essere indicato eseguire degli interventi di osteotomia ed osteosintesi, nei casi in cui si deve ripristinare il corretto orientamento delle superfici articolari alterate da una precedente frattura. Questo intervento consiste nel rompere l’osso (osteotomia) e rimetterlo in corretta posizione (osteosintesi). In altri casi può essere necessario impiantare una protesi di capitello radiale quando questo è deformato da un precedente trauma (Fig. 13).
In casi più gravi dove tutte le superfici articolari sono gravemente danneggiate e non recuperabili, può essere indicato impiantare una protesi monocompartimentale (Fig. 14) o totale di gomito (Fig. 15). In circostanze simili, ma in pazienti molto giovani può, invece, trovare indicazione l’artroplastica di interposizione. E’ questa una procedura che prevede la rimozione della cartilagine articolare e la sua sostituzione con altro tessuto molle come la fascia muscolare.
Nelle forme di rigidità mista, le più frequenti, saranno attuate le varie procedure chirurgiche sopra indicate a seconda dei casi.
Dopo l’intervento chirurgico la rieducazione funzionale sarà personalizzata ed indicata dal chirurgo a seconda dell’intervento eseguito. Si rimanda per i concetti generali alla sezione della rieducazione.
Questa presentazione è diretta ad utenti comuni. Per informazioni più dettagliate e dirette a personale medico o paramedico si consiglia di scaricare il file “rigidità di gomito.pdf” nella sezione aggiornamento.