Frattura dell’olecrano
Le fratture dell’olecrano (Fig.1) interessano l’estremità superiore dell’ulna. Sono causate da una caduta sul palmo della mano con il gomito in iperestensione, oppure da trauma diretto sulla regione posteriore del gomito. Nelle fratture olecraniche dovute a traumi ad alta energia si possono estendere a tutta l’estremità superiore dell’ulna ed associare alla lussazione e/o frattura del capitello radiale, creando una quadro complesso detto frattura-lussazione di Monteggia; oppure si possono associare alla lussazione anteriore di entrambe le ossa dell’avambraccio (radio ed ulna), definendo un quadro altrettanto complesso, detto frattura trans-olecranica.
La classificazione più comune (Fig.2) prevede 3 tipi di fratture:
Tipo I. Frattura composta dell’olecrano (in questo caso il frammento osseo rimane nella sua normale posizione anatomica).
Tipo II. Frattura scomposta e stabile. Sono le fratture più frequenti (80-85%). Il frammento osseo si sposta rispetto al resto dell’olecrano. I legamenti sono integri o solo parzialmente lesionati, pertanto il gomito rimane stabile, ossia non tende a lussarsi.
Tipo III. Frattura scomposta e instabile. In queste fratture i legamenti sono gravemente danneggiati ed il gomito è instabile, ossia tende a lussarsi.
Per ogni tipo di frattura vengono descritti due sottotipi in base alla presenza o meno della comminuzione (frattura costituita da numerosi e piccoli frammenti ossei).
Il trattamento si diversifica sulla base del tipo di frattura. Le fratture di tipo I sono le più semplici e vengono trattate con una breve immobilizzazione seguita da una cauta e precoce riabilitazione. La prognosi di queste fratture è eccellente. Nelle fratture di tipo II è sempre indicato l’intervento chirurgico, i frammenti ossei vengono “ridotti” (ricomposti) e “sintetizzati” (fissati) attraverso l’utilizzo di un cerchiaggio dinamico (Fig. 3) oppure di una placca metallica e viti (Fig. 4).
Nelle fratture tipo II associate a comminuzione si utilizzano sempre la placca e le viti. In presenza di perdita di sostanza ossea, il difetto andrà colmato con l’utilizzo di innesti ossei autolghi (prelevati dalla cresta iliaca dello stesso paziente). La prognosi per questo tipo di fratture è buona. Anche nel tipo III trova indicazione la sintesi con placca e viti a cui deve essere associata la riparazione della strutture legamentose danneggiate. Qualora il gomito sia ancora instabile dopo la sintesi delle fratture e la riparazione dei legamenti è indicato l’utilizzo del fissatore esterno dinamico, che serve per mantenere ridotta (in giusta posizione) l’articolazione e proteggere la ricostruzione dei frammenti ossei (Fig 5).
Gli stessi principi di riduzione e sintesi devono essere applicati alle fratture trans-olecraniche ed alle fratture di Monteggia (Fig. 6). Queste ultime sono gravate da una prognosi peggiore a causa della loro complessità.
3. l’artrosi post-trauamatica, ossia una usura precoce delle superfici articolari causata dal trauma.
4. l’instabilità, ossia la tendenza del gomito o del solo capitello radiale a lussarsi o sublussarsi, dovuta ad una non corretta guarigione della frattura e\o dei legamenti.
5. la pseudoartrosi, ossia la mancata guarigione della frattura (Fig. 6).
Le complicanze più importanti di tali fratture sono :
a. la rigidità: la riduzione dei movimenti del gomito. Questa può essere correlata alla formazione di tessuto cicatriziale od osseo troppo abbondante, alla permanenza della scomposizione dei frammenti di frattura o ad un errata riabilitazione.
b. l’artrosi post-truamatica: degenerazione della cartilagine articolare secondaria al trauma ed al fatto che la frattura ha coinvolto l’articolazione. Può comportare dolore e limitazione nel movimento.
c. l’instabilità cronica: tendenza del gomito a sub-lussarsi, dovuta ad una non corretta guarigione della frattura e dei legamenti.
d. la pseudoartrosi: la mancata guarigione della frattura.
e. dolore legato alla presenza dei mezzi di sintesi.
f. mobilizzazione dei mezzi di sintesi e infezioni.
In presenza di queste complicanze può essere necessario sottoporre il paziente ad un secondo intervento chirurgico.
Infine è da sottolineare l’importanza di una corretta rieducazione post-operatoria che prevede l’inizio precoce (48 ore dall’intervento chirurgico) dei movimenti di flesso-estensione e prono-supinazione attivi e passivi autogestiti dal paziente. Nei primi 40 giorni dall’intervento il gomito viene frequentemente protetto da un tutore articolato (Fig.7), che consente di eseguire la rieducazione.