Le tecniche anestesiologiche nella chirurgia del gomito
a cura di F. Fattorini, A. Rocco, D. Amoroso
L’anestesia nella chirurgia del gomito costituisce uno specifico campo d’applicazione nell’ambito delle patologie ortopediche. Tale articolazione è caratterizzata da peculiarità anatomiche che possono condizionare la normale condotta anestesiologica. Infatti, il gomito è lambito dalle principali strutture vascolari e nervose dirette alla mano (arteria e vene brachiali, i nervi radiale, ulnare, mediano e muscolocutaneo). Queste strutture contraggono rapporti di vicinanza molto stretti con gli elementi scheletrici che formano l’articolazione del gomito (Fig.1).
Questa vicinanza li rende molto sensibili all’insulto meccanico creato da una frattura o da una procedura chirurgica. Per tali motivi anatomici è di fondamentale importanza la continua valutazione della funzionalità vascolo-nervosa dell’arto superiore subito dopo un trauma o un intervento chirurgico.
Le tecniche anestesiologiche possono essere divise in due grandi gruppi: 1) l’anestesia generale, durante la quale il paziente dorme e 2) l’anestesia loco-regionale, durante la quale il paziente è sveglio ma con l’arto da operare addormentato.
L’anestesia generale prevede innanzi tutto una premedicazione con ansiolitici e analgesici oppioidi. Questa pratica non solo riduce il bisogno intraoperatorio di anestetici e il consumo di ossigeno, ma calma anche l’ansia, il dolore e lo stress relativo alle procedure anestesiologiche che precedono l’intervento stesso (ad esempio: incannulazione di vene, esecuzione dei blocchi nervosi periferici, posizionamento sul letto operatorio (Fig.2 a-b),
induzione dell’anestesia). Inoltre, la premedicazione determina una lieve amnesia (perdita del ricordo vivo legato ad una particolare situazione, come quella dell’intervento) che evita i cattivi ricordi associati alla procedura chirurgica ed al dolore.
Successivamente, si procede all’induzione dell’anestesia per mezzo di farmaci endovenosi che addormentano il paziente (ipnotici) e all’intubazione tracheale (che consente al paziente di respirare durante l’intervento grazie all’ausilio di una macchina apposita, il respiratore automatico). Durante la procedura chirurgica la somministrazione di anestetici sia endovenosi che inalatori consente di sopprimere il dolore, impedire il movimento e abolire lo stato di coscienza.
In alternativa all’anestesia generale, può essere effettuata una anestesia loco regionale, attraverso un blocco anestesiologico dei nervi dell’arto superiore effettuato con gli anestetici locali. Questa può essere utilizzata da sola per procedure chirurgiche brevi, poco invasive, o che prevedono una dimissione precoce del paziente (es. chirurgia ambulatoriale). Inoltre, è indicata nei pazienti in gravi condizioni generali di salute e che non sopporterebbero l’anestesia generale, nelle urgenze, nei pazienti non a digiuno e in quelli che rifiutano la narcosi.
L’anestesia loco-regionale nella chirurgia del gomito è particolarmente utile per garantire l’analgesia post-operatoria, ovvero per dare una completa copertura del dolore sia post-operatorio che quello che accompagna la riabilitazione post-chirurgica nelle prime settimane. Il blocco viene eseguito grazie all’utilizzo di un ago inserito nella regione clavicolare o ascellare (Fig.3 e 4),
in prossimità dei tronchi nervosi principali da cui derivano tutti i nervi dell’arto superiore. I nervi da anestetizzare sono evidenziati attraverso uno stimolatore elettrico che produce la contrazione muscolare corrispondente (Fig.5a) oppure attraverso l’ecografia (Fig.5b).
Una volta effettuato il blocco, il paziente non avverte dolore, né è in grado di muovere autonomamente l’arto, anestetizzato dall’azione dei farmaci. La percentuale di successo del blocco antalgico è elevata ma in caso di analgesia incompleta si può rendere necessaria l’anestesia generale.
In molti casi la scelta ottimale è rappresentata dall’associazione di anestesia generale e loco-regionale. La prima garantisce il confort completo del paziente durante l’intervento chirurgico, specialmente se questo è di lunga durata. La seconda permette un sensibile risparmio di anestetici e un migliore controllo del dolore post-operatorio.
Nel caso dell’anestesia loco-regionale, l’anestesista può decidere di somministrare l’anestetico locale in due modi: somministrazione unica o continua. Nel primo caso l’effetto del blocco si esaurisce, a seconda dell’anestetico utilizzato, tra le 4 e le 12 ore (tecnica “single shot”); nel secondo caso si posiziona un piccolo catetere a permanenza che infonde continuamente anestetico attraverso una pompa, chiamata elastomero (Fig.6 a-b).
Questa seconda modalità è particolarmente indicata nella chirurgia del gomito dove spesso la riabilitazione viene iniziata molto precocemente (dopo 24/48 ore dall’intervento) al fine di evitare la rigidità articolare.
Ai blocchi antalgici può essere associata una terapia farmacologica sistemica di supporto (endovenosa, intramuscolare o orale), quando necessario. In questi casi, si ricorre all’uso di vari analgesici e/o antinfiammatori quali il paracetamolo (Tachipirina), il ketorolac (Toradol), la morfina.
Usualmente, dopo un intervento al gomito non sono necessarie trasfusioni di sangue poiché durante l’operazione viene stretta alla radice dell’arto una fascia simile a un bracciale per misurare la pressione arteriosa (fascia ischemica Fig.7).
Quando il bracciale viene gonfiato, la pressione sul braccio aumenta e questo chiude i vasi lasciando esangue la parte a valle del dispositivo. Tale fascia deve essere gonfiata a una pressione non superiore a 250 mmHg e mantenuta gonfia per un tempo massimo di due ore. Qualora ci fosse bisogno di più tempo per completare l’intervento e quindi di un ulteriore periodo di ischemia, il chirurgo sgonfia la fascia per circa 20 minuti, intervallo in cui si ha un nuovo e completo afflusso di sangue all’arto. Trascorso questo intervallo di tempo, si può rigonfiare la fascia e ischemizzare nuovamente l’arto. La fascia ischemica, oltre a evitare le perdite ematiche dalla ferita chirurgica, consente di ottenere un campo chirurgico esangue dove le strutture anatomiche sono meglio visualizzate (Fig.8).